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Tanto talento, ma poca grammatica in "Quasi quasi... resto"di Manuela Tacconi


“Quasi quasi… resto” è un romanzo che si legge con estremo piacere. L’ho letteralmente divorato. All’autrice va riconosciuta la capacità di descrivere in maniera coinvolgente ambienti e stati d’animo. Il ritmo narrativo è vivace e il personaggio di Alice, la protagonista, estremamente umano e simpatico, con la sua goffaggine e le sue paure. Una sorta di nostrana Bridget Jones, con l’aggiunta di trascorsi familiari che condizionano largamente la sua vita da adulta.

Il romanzo, scritto in prima persona, prende il lettore e lo scaraventa nel vivo della narrazione sin dalle prime righe. Lo scavo psicologico condotto su Alice è ammirevole: preciso e profondo senza essere pesante.

Non manca un colpo di scena magistralmente congegnato che imprime una spinta notevole al finale strappando l’ennesimo sorriso al lettore.

Manuela Tacconi dimostra di avere, oltre a un innegabile senso dell’umorismo, una spiccata familiarità con il mondo emotivo: le gioie e i dolori della protagonista, per un misterioso e magico processo di osmosi, diventano gioie e dolori del lettore stesso… ma ci sono delle note dolenti, in questo quadro così esaltante. Numerosi gli errori grammaticali, sia relativi ai modi che ai tempi verbali; numerose anche le ripetizioni del medesimo termine nell’ambito della stessa frase; non mancano gli errori di ortografia, anche se in misura minore rispetto agli altri.

Insomma, in questo caso, più che di una lettura attenta del testo, da parte dell’autrice ci vorrebbe uno studio serio e approfondito della grammatica italiana. Mauela Tacconi ha talento, quel quid che non si apprende da nessuna parte, che rischia, però, di andare tristemente sprecato perché uno scrittore credibile non può essere digiuno di grammatica.

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