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"Parliamo di Alice" di Maria L. Zante


“Parliamo di Alice” oscilla fra il romanzo di narrazione e la storia d’amore. L’ho letto con molto interesse, stupita e affascinata dal talento di questa scrittrice che, pur risultando al suo primo romanzo edito, di esordiente non ha proprio nulla. È raro per chi in questo settore ci lavora e, quindi, ha una certa familiarità con gli scritti degli esordienti e ne divora un buon numero, trovare una perla di tal fatta.

Il testo presenta dei refusi e qualche parola scritta in maniera così sbagliata da non riuscire a ricostruirla, ma per il resto si legge che è una meraviglia e lo stile è splendidamente adatto al genere di appartenenza, quello introspettivo, un genere che amo, anche se ho letto qua e là che qualcuno gli rimprovera la lentezza, ma, dal mio punto di vista, fare un appunto all'autore in questo senso equivale a riprendere uno scrittore di horror per le immagini truculente.

Il romanzo è scritto in prima persona: c’è una voce narrante che è anche il personaggio principale che racconta la storia dal suo personale punto di vista. La sua identità verrà svelata solo alla fine, spiazzando il lettore. Allora e solo allora alcuni degli eventi narrati nel libro, apparentemente privi di senso, troveranno la loro giustificazione, insieme a qualche reazione poco chiara di chi orbita intorno ai due personaggi principali. Non posso né voglio dire di più per non anticiparvi ciò che è giusto che scopriate leggendolo.

L’amore e la passione amorosa vengono riprodotte e analizzate in tutte le loro sfumature. Alice e la voce narrante vivono una relazione molto intensa, contrastata e resa difficile oltre che dagli altri dalle loro paure e dalla loro immaturità.

La voce narrante proviene da un contesto familiare molto difficile. L’incontriamo che ha solo diciassette anni, due fratelli che hanno già una loro vita, lontano dalla casa materna. La madre è una donna molto sopra le righe, rimasta sola dopo una separazione, affoga i suoi dispiaceri nell’alcol. È tutt’altro che equilibrata, così come il suo modo di dare affetto. In casa sono solo in due: fra di loro si è creato un rapporto simbiotico, tanto che quando la voce narrante ha le sue prime esperienze amorose, la genitrice le vive come un tradimento. Insieme bevono “per coprire il male e l’imbarazzo di essere al mondo”.

Il testo è infarcito di lirismi, metafore, descrizioni mozzafiato, sia di ambienti che di personaggi, quest'ultime condotte con una ricercatezza di termini rara da trovarsi.

La trama abbraccia un arco temporale della durata di dieci anni, nel corso dei quali il personaggio principale/voce narrante cresce, cambia, commette una serie di errori, finge anche con sé stesso, e soprattutto ama o almeno ci prova, in una ricerca febbrile, senza sosta, perché solo tramite l’amore può mettere a tacere le proprie insicurezze, affermare la propria identità, sottrarsi al senso di vuoto che modella i suoi giorni e all’angoscia che ne deriva.

Non è facile parlare d’amore senza scadere nel già visto, nel già sentito, ma va riconosciuto a Maria L. Zante di esserci riuscita perfettamente creando una storia che commuove, avvince e stupisce per la sua rara bellezza.

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