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"Lietofine- Il chiodo" di Cristina Robotti


Un romanzo accattivante “Lietofine - Il chiodo”, con la trama che ruota intorno al processo di morte metaforica e rinascita della protagonista, Carla, quarantenne tradita e abbandonata dal marito, in cerca di vendetta. Innanzitutto, va specificato, a scanso di equivoci, che per lei vendicarsi equivale a fare il classico “chiodo schiaccia chiodo”. Eppure, sarà proprio nel percorso di rinascita che i suoi propositi di “vendetta” verranno a cadere e che comprenderà come questo sistema abbia di per sé una valenza negativa.

L’autrice Cristina Robotti descrive minuziosamente gli stati d’animo della protagonista, le sue frustrazioni, la sua smania di vendetta, l’ira, la delusione e soprattutto lo sconforto nel ritrovarsi sola a oltre quarant’anni di età, in un mondo che sembra o popolato da uomini bellissimi ma gay, oppure attratti da ragazze molto più giovani.

“Lietofine” è scritto tutto in prima persona. La protagonista, che è anche voce narrante, tiene le fila della trama con umorismo pungente e auto ironia facendo sorridere a più riprese il lettore, suscitando in lui tenerezza, sviluppando empatia. Della donna lasciata Carla adotta tutti i comportamenti, senza però mai scivolare in un cliché, perché è umana e credibile la sua ricerca d’appoggio nelle amiche, nel fratello e nella sua famiglia, in una fase delicata, cruciale, di snodo della sua esistenza. Anche la cura maniacale di sé, lo shopping compulsivo, il nuovo taglio di capelli, “le coccole culinarie”, gli appuntamenti al buio rientrano nel corollario del tradimento/abbandono.

Carla, in alcuni passi, mi ha ricordato Goffredo Liguori, protagonista di un episodio del film “Manuale d’amore”, che non si accorge che il suo è un matrimonio finito da tempo, e si ritrova dalla mattina alla sera solo, disorientato. Come lui, infatti, si interroga sul perché del fallimento della sua unione, ci si scervella sopra, ma senza esito e questo suo rimuginare porta il lettore a interrogarsi sulla confusione che spesso si fa fra sentimento e abitudine, sulla difficoltà e il rifiuto di accettare la morte di qualcosa che in realtà si è irreversibilmente spento, perché negli anni si può cambiare imboccando strade diverse.

Non si tratta di un romanzo autobiografico, come spiega l’autrice nella postfazione, ma della “storia di un gruppo di quarantenni, (che ruota intorno alla protagonista, n.d.r.), forse un po’ immaturi, nella Milano di inizio millennio”, perché la trama parla molto anche di amicizia, di solidarietà, di scelte di vita spesso difficili e lo fa con “un registro colloquiale, un tono leggero, un ritmo veloce”, che rendono questa lettura estremamente piacevole.


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